Eumene, Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO SECONDO
 
 Campagna, nel cui fondo si vede la città assediata, con porta magnifica nel mezzo e larga fossa che la circonda.
 
 SCENA PRIMA
 
 ANTIGENE
 
 ANTIGENE
440Ed è vero? E lo credo?
 Eumene a noi ritorna?
 Eumene io rivedrò? Perché disciorlo
 Laodicea da’ suoi ceppi?
 Ah, qual orror mi assale!
445Qual rimorso! Il mio fallo
 mi divien pena. A’ danni miei già sento
 rivoltarsi il mio cor. Crudel, che feci!...
 Ma ti assicura, Antigene. Innocente
 forse Eumene ti crede; e te tradito
450non avrà forse Laodicea. Fa’ core.
 Rasserena il sembiante.
 Potria reo palesarti il tuo timore.
 
 SCENA II
 
 PEUCESTE ed ANTIGENE
 
 PEUCESTE
 Antigene, che pensi? Allor che tutto,
 al ritorno di Eumene,
455l’esercito festeggia,
 solo ti trovo e non ben lieto?
 ANTIGENE
                                                      Amico,
 le pubbliche allegrezze
 offenderei col mio dolor. Sol temo
 ingannarmi con tutti. Ancor dar fede
460non posso al cor.
 PEUCESTE
                                 Potrai negarla al guardo?
 ANTIGENE
 (Or sì, al primo timor l’anima riede). (Si apre la porta della città e si vede calar un ponte, da cui scende Eumene con le guardie di Laodicea che, accompagnatolo poco discosto dalle mura, si ritirano, tornandosi ad alzare il ponte ed a chiuder la porta come prima. Eumene si avanza verso Peuceste ed Antigene; ed al suono di stromenti militari, seguita da’ suoi, esce ad incontrarlo la regina Artemisia)
 
 SCENA III
 
 ARTEMISIA, EUMENE, ANTIGENE e PEUCESTE
 
 ARTEMISIA
 Quante lagrime, Eumene,
 mi costaro i tuoi ceppi! E quanto sangue
 per la tua libertà sparger dovea!
465Se un destin più tiranno
 mi ritardava il tuo ritorno, forse
 al mio cedea troppo spietato affanno.
 Ma d’incensi e di fiori
 fumino i tempi e si coronin l’are.
 
470   Torni al labbro il lieto riso;
 abbia pace il fier tormento.
 
    E in mirarti, amabil viso,
 più non piangano quest’occhi
 che di gioia e di contento.
 
 EUMENE
475Quanto per noi la sorte
 oggi cangia di aspetto! Allor che i rischi
 vinti credea, presa Sebastia, in trono
 Artemisia riposta e me felice,
 pugnan più vigorose
480l’armi nimiche; i miei son vinti; insulta
 Laodicea più feroce; e me, sia fato
 o inganno sia, veggo tra’ ceppi; e appena
 in destino sì rio,
 mi è concesso, o regina,
485il venirti a recar l’ultimo addio.
 ARTEMISIA
 Come!
 EUMENE
                Sì. Tornar deggio; e al mio ritorno
 deggio morir. Risolto
 ha così Laodicea. Barbare leggi
 pon sospenderne il colpo;
490ma mi si salva a prezzo tal la vita
 che l’averla a bramar saria viltade.
 ARTEMISIA
 Per vita a me sì cara,
 che può l’empia voler?
 EUMENE
                                            Chiede una pace
 che sul trono usurpato
495l’abbia a fermar. Chiede il tuo regno; e chiede
 per la mia libertà le tue ritorte,
 quasi fiacco a svenarmi
 esser possa il timor della tua morte.
 ARTEMISIA
 Tanto mi si richiede?
 EUMENE
                                          Io qui ne vengo
500suo messaggier. Già leggo
 nella tua fronte il tuo pensier. Regina,
 con l’amor tuo non consigliarti in questo
 destin crudel. La gloria mia tel vieta.
 Tu vivi e regna; io tornerò cattivo.
505E se in morir ti salvo,
 la mia sciagura a mia gran sorte ascrivo.
 ARTEMISIA
 Che? Vuoi tormi la gloria
 di morire per te? Di regno e vita
 che mi cal, se ti perdo,
510quando l’un, quando l’altra
 per più bella cagion spender poss’io?
 Mora Artemisia e vivi,
 vivi tu, onor dell’armi, idolo mio.
 EUMENE
 Dal tuo cor generoso,
515sforzo minor non attendea. Fu questa
 sicurtà che da’ ceppi a te mi trasse.
 Ma non deve un periglio
 render me vil, te sfortunata. Vivi
 e da’ fine a una guerra
520che dee farti regina. Io far ritorno...
 PEUCESTE
 Ma, signor, noi morremmo,
 pria che soffrir la tua sciagura. Alfine
 sei nel tuo campo e Laodicea, se puote,
 fuor del nostro poter venga a ritorti
 EUMENE
525Tornerò, tuo malgrado,
 Peuceste, alle catene. Ivi la fede
 in ostaggio lasciai. Serbar la devo.
 ARTEMISIA
 E sì tosto partir?...
 EUMENE
                                     Vanne e mi attendi
 nel real padiglion fra brevi istanti.
 ARTEMISIA
530O voglia il ciel che alfine
 ti facciano pietà, duce, i miei pianti.
 
    So che in vedermi a piangere
 non mi sarai crudel.
 
    Un vero amor non sa
535resistere alle lagrime
 di una beltà fedel.
 
 SCENA IV
 
 EUMENE ed ANTIGENE
 
 EUMENE
 Parta ciascuno e al campo
 non fia chi scopra il mio pensier. Tu solo,
 Antigene, rimanti.
 ANTIGENE
                                     Io, duce?
 EUMENE
                                                        Ho teco
540di che parlar. (Si turba).
 ANTIGENE
                                               (O me infelice!)
 EUMENE
 Dimmi. Dal fier Leonato
 come fuggisti? Al par di me tu ancora
 fosti nel rischio. Io mi difesi invano;
 te chi salvò? Come ne uscisti? Parla.
 ANTIGENE
545Signore... (Ahi, che dirò?)
 EUMENE
                                                  Segui.
 ANTIGENE
                                                                Al tuo braccio
 devo lo scampo.
 EUMENE
                                Come?
 ANTIGENE
 Pugnava anch’ io; ma conosciuto Eumene,
 tutte l’armi in lui solo
 si rivoltar. Te sol chiedean. Te vinto,
550cessò la pugna; ed io ne uscii.
 EUMENE
                                                        Vilmente
 dunque o fuggisti o me lasciasti? Io, s’era
 secondato da’ tuoi, da te difeso,
 non vi cadea.
 ANTIGENE
                           Che? Forse
 potea?...
 EUMENE
                   Con men orgoglio
555parla. Il farsi innocente
 non è facile a un reo. Ti accusa il volto;
 il labbro ti tradisce; e ti condanna
 la tua stessa difesa.
 ANTIGENE
 Ma, signor...
 EUMENE
                          Taci. Assai
560dicesti e mi sei noto. Or tu pur vedi
 quale io mi sia. Pria di parlarti ancora,
 colpevol ti sapea. Solo ten chiesi,
 perché altri del tuo fallo
 consapevole meco
565con tuo periglio e disonor non fosse.
 ANTIGENE
 Credi...
 EUMENE
                 Sia che si voglia,
 a’ tuoi propri rimorsi io ti abbandono.
 Vita e onor qui ti rendo.
 Colpevole ti abbraccio e ti perdono.
 
570   Va’; le tue colpe obblio;
 ti rendo l’amor mio
 con abbracciarti.
 
    Quasi del mio pensier
 è gloria il tuo delitto,
575or che sento il piacer
 del perdonarti.
 
 SCENA V
 
 ANTIGENE
 
 ANTIGENE
 O pietà che mi uccide!
 O troppo Eumene generoso! O troppo
 Antigene infedele! Invano, amore,
580tu opponi a’ miei rimorsi
 un geloso timor. Sol tutto innanzi,
 nel tardo pentimento,
 mi si affaccia l’orror del tradimento.
 Va’, misero. Il tuo duce
585ti abbraccia e ti perdona, allor che in rischio
 per te solo è di morte;
 e il conosce e l’obblia. Che far presumi?
 Se il puoi soffrir, tu merti
 e l’odio di Artemisia e quel de’ numi.
 
590   Sento, amor, che nel mio cor
 ti prepari a guerreggiar.
 
    Ma che? Alfin ti vincerò;
 e pur so che nel trionfo
 sarò astretto a lagrimar.
 
 Padiglione reale di Eumene.
 
 SCENA VI
 
 EUMENE e poi PEUCESTE
 
 EUMENE
595Nell’ardua impresa, a cui ti accingi, o core,
 il pianto di Artemisia
 non ti faccia pietà. Fuggi, se il temi,
 que’ begli occhi...
 PEUCESTE
                                   Ah, signor, pietà ti prenda
 dell’afflitta regina.
 EUMENE
600Dov’è?
 PEUCESTE
                 Muor, se tu parti; e l’infelice
 sparsa la fronte ha di un color di morte.
 Già la sua doglia estrema
 noi tutti in sì gran mali
 per te, per lei, fa impallidir di tema.
 EUMENE
605Che mi narri, o Peuceste!
 PEUCESTE
 Disperata, confusa,
 con piè tremante ella ti cerca e move
 languido il passo. Eccola appunto.
 EUMENE
                                                               O dio!
 Fuggiamo. A’ suoi dolori
610resister non potrai forse, o cor mio.
 PEUCESTE
 Vado l’opra a compir. Giungesti a tempo. (Ad Artemisia)
 
 SCENA VII
 
 ARTEMISIA ed EUMENE
 
 ARTEMISIA
 Fermati, Eumene; e non temer ch’io venga,
 per ammollirti il core,
 con inutile sfogo
615a far pompa crudel del mio dolore.
 So a qual segno ti pregi
 di un’austera virtù. So che non ponno,
 da queste labbra e da quest’occhi uscendo,
 farti pietà le lagrime e i sospiri.
620Ad applauder io stessa
 vengo al nobil disegno e ad affrettarlo.
 EUMENE
 Che, regina?...
 ARTEMISIA
                              Va’ pure
 ove ti chiama il tuo gran cor. Tu brami
 morir per me. Vanne a morir. Tu il dei
625far per tua gloria. I tuoi gran fini intendo.
 Vanne; ma pria tu ancora intendi i miei.
 EUMENE
 Che pensi far? (Quanto è dolente, o dei!)
 ARTEMISIA
 Per la mia vita, Eumene,
 hai coraggio a morir; ma core ho anch’io
630di morir per la tua.
 EUMENE
                                      Come?
 ARTEMISIA
                                                      Il mio sangue
 verrà a spezzar le tue catene. Io stessa
 me, vittima di amore,
 offrirò a Laodicea per conservarti.
 EUMENE
 Deh, qual sentier...
 ARTEMISIA
                                      L’ho scelto
635degno di me. Già m’intendesti. Or parti.
 EUMENE
 Di qual’armi ti servi ed in qual punto,
 regina, a’ danni miei? Tu andar cattiva?
 Tu morir per salvarmi?
 ARTEMISIA
 Va’ pur; tutto oserò, perché tu viva.
 EUMENE
640Generosa Artemisia, a’ tuoi spaventi
 da’ pace e ti consola;
 torno a’ miei ceppi, è ver; ma per me temi
 un periglio ch’è incerto.
 Laodicea me non odia. Ella per anco
645cinta da’ miei, quando pur sete avesse
 del sangue mio, come oserà versarlo?
 Mi serberà per conservarsi. Lascia,
 mia regina, ch’io torni alle catene,
 ch’io conservi la fede
650e che almen viva in te, morto in Eumene.
 ARTEMISIA
 Va’, abbandonami, ingrato,
 fedele a’ tuoi nimici, a me infedele;
 perché mai la tua fede
 serbi a lor più che a me? Perché, o crudele?
 
655   Se avevi a lasciarmi,
 perché giurarmi amor?
 Ingannator, perché?
 
    Così geloso, o sposo,
 sei di serbar la fede?
660E non la serbi a me?
 
 EUMENE
 Cara, non lagrimar; sento che tutto,
 a fronte de’ tuoi pianti,
 vacilla il mio coraggio... In tal periglio,
 meglio è ch’io parta... O cieli!
665Qual novo assalto? Ed in qual tempo?... Ah figlio!
 
 SCENA VIII
 
 AMINTA, PEUCESTE e i sudetti
 
 PEUCESTE
 Ove corri? Ove fuggi? Al caro figlio,
 qual pensiero ti toglie?
 E perché lo abbandoni? (Eumene non guarda Aminta)
 AMINTA
 Mio genitor.
 PEUCESTE
                          Ma tu gli neghi un guardo?
670Prole infelice, in che peccasti? È questo,
 questo è il tenero addio
 che porge Eumene al suo sì caro Aminta?
 
    Per pietà,
 dagli almeno un solo amplesso,
675un sol guardo e poi ten va.
 
 ARTEMISIA
 E ancor resisti a’ preghi?
 EUMENE
                                                O dei! Peuceste,
 allontanami il figlio.
 PEUCESTE
 Pria morirà che quindi mova un passo.
 ARTEMISIA
 Se a pietà non ti movi, hai cor di sasso.
 
 SCENA IX
 
 ANTIGENE e i suddetti
 
 ANTIGENE
680Signor, de’ tuoi disegni istrutto il campo,
 mosso da un giusto zelo,
 esce fuor delle tende,
 corre, non ha chi ’l freni e già d’intorno
 ogni sentiero alla tua fuga ha chiuso.
 EUMENE
685Come? Anch’egli congiura
 contro al mio onor? Vuol che di fede io manchi?
 Vuol tormi una vittoria?
 E il suo importuno amor viene a tradirmi
 nel destino miglior della mia gloria?
690Ma chi osò d’istruirlo?
 Chi ’l provocò? Chi ’l mosse?
 Di’. Chi fu il traditor? Chi fu l’iniquo?
 ANTIGENE
 Vuoi conoscerlo, Eumene?
 EUMENE
 Parla.
 ANTIGENE
              Quello son io.
 EUMENE
695Tu, Antigene?
 ANTIGENE
                             Io quel sono.
 Il desio di salvarti
 diè spirti all’alma e ti tradì con merto.
 Tratta, Eumene, il mio zelo
 col nome di delitto e quanto sai
700me ne incolpa e punisci. Un tal delitto
 di che farmi arrossir non avrà mai.
 EUMENE
 Dopo i miei benefizi, è questo il prezzo
 che ne ricevo, ingrato? Io che poc’anzi...
 Ma or or ti pentirai de’ tuoi disegni.
705Olà. (Ad una delle guardie)
 PEUCESTE
             Che mai risolve!
 ANTIGENE
                                             O lui salvate
 o me uccidete ancor, stelle spietate. (Si alzano in questo due ali del padiglione e si vede tutto l’esercito di Eumene in atto d’impedirgli la partenza)
 
 SCENA X
 
 I suddetti e l’esercito
 
 EUMENE
 Ove, o duci, o soldati,
 non più miei, non più cari, ove vi guida
 un mal nato desio? Mi state attorno,
710perché infame rimanga? E tale a voi
 spergiuro e vile il vostro duce aggrada?
 Di un’impresa sì audace,
 che tenta il bel chiaror de’ giorni miei,
 vi punirò. Se mi voleste esangue,
715perdonar con più core io vi saprei. (Dà di mano alla spada)
 ANTIGENE
 Arma pur la tua destra
 del nobil ferro e, per tornar fra’ ceppi,
 ti ricerca una via nel nostro seno.
 Disarmato ognun t’offre
720il suo petto, ecco il mio. Piaga, trafigi.
 Perché, o duce, ti sia chiuso ogni scampo,
 serviranno al tuo passo
 i cadaveri nostri anche d’inciampo.
 EUMENE
 No, Antigene. Quel ferro,
725che per vostra difesa
 strinsi in guerra più volte, ora in altr’uso
 non volgerò. Ma se ostinati ancora
 mi vietate il ritorno,
 mi ucciderò sotto a’ vostri occhi. Il braccio
730mi torrà con un colpo
 all’infamia e alla vita; e voi sarete
 i barbari ministri
 di quel fato crudel che in me temete.
 ANTIGENE
 O virtù, a’ danni tuoi troppo ingegnosa!
 EUMENE
735Ma già tempo è ch’io torni ove mi chiama
 e di gloria e di fé nobile impegno.
 AMINTA
 Padre.
 ARTEMISIA
                Sposo.
 PEUCESTE
                               Signor.
 EUMENE
                                               Datevi pace,
 figlio, regina, amico.
 ARTEMISIA
 E mi lasci?...
 EUMENE
                           Artemisia,
740con occhio più costante
 mira il mio fato. Eumene,
 nell’ultima sua sorte,
 sia degno del tuo amor, non del tuo pianto.
 Consolati; resisti
745a un cieco affanno e pensa
 che, se amante mi perdi, eroe mi acquisti.
 Antigene, Peuceste e voi miei fidi,
 generosi compagni,
 proseguite i trionfi. Alle vostr’armi
750dell’amata regina
 gl’interessi commetto. A voi si aspetta
 rimetterla sui trono, a voi di Eumene
 tentar la libertade o la vendetta.
 E tu dissipa, Aminta,
755questi ’ndegni timori.
 Risospingi le lagrime e ti accheta.
 Fa’ che il tuo cor m’imiti; e il mio periglio
 fra sì pallidi volti
 nella costanza tua m’insegni il figlio.
 AMINTA
760Almeno...
 EUMENE
                     A te, regina,
 la sua infanzia commetto. A man più cara
 confidar non sapea più caro pegno.
 Tu la ubbidisci, o figlio.
 Ella, s’invido fato
765in sì dolce piacer non mi rapia,
 fatta sposa ad Eumene,
 ti doveva esser madre e tal ti sia.
 Più dir non mi rimane. Addio, miei cari.
 AMINTA
 Padre.
 ARTEMISIA
                Sposo.
 EUMENE
                               Non più.
 ARTEMISIA
                                                  Ferma; che fai?
770Tu pensi di salvarmi e a morir vai?
 EUMENE
 
    Non ti doler ch’io parta,
 quando rimango in te.
 
    Se morirò, tu almeno
 conserva nel tuo seno
775quest’alma e questo core
 che più nel mio non è. (Si abbassano l’ali del padiglione come prima)
 
 SCENA XI
 
 ARTEMISIA, AMINTA, ANTIGENE e PEUCESTE
 
 AMINTA
 Lo seguo anch’io.
 PEUCESTE
                                  Ti arresta.
 ARTEMISIA
 Qual virtù va a perir!
 PEUCESTE
                                          Se il permettete,
 perdonatemi, o numi, ingiusti siete. (Si parte)
 ANTIGENE
780Andiam. Ti sento, o cor; soffrir non puoi
 il pianto di Artemisia;
 e pur sei la cagion de’ pianti suoi.
 
 SCENA XII
 
 ARTEMISIA
 
 ARTEMISIA
 Tornate pure a ripiombar sul core,
 lagrime contumaci.
785È un cambio disugual versare il pianto,
 quando Eumene per noi
 corre a sparger il sangue, a spirar l’alma.
 Ingiusto Eumene, e credi
 che più di te mi sia soave il regno?
790Che senza te gradita
 mi sia la libertà, mi sia la vita?
 
    Mi era dolce e caro oggetto
 viver, sì, ma nel tuo affetto
 e regnar ma nel tuo cor.
 
795   Se ti perdo, idolo mio,
 addio vita, impero addio.
 Mi si tolga ogni diletto;
 sol mi resti il mio dolor.
 
 Stanze di Laodicea.
 
 SCENA XIII
 
 LAODICEA e LEONATO
 
 LEONATO
 
    Vorrei...
 
 LAODICEA
 
                      Che vorresti?
 
 LEONATO
 
800Affetti.
 
 LAODICEA
 
                 Gli avrai.
 
 LEONATO
 
 Ma intanto?
 
 LAODICEA
 
                          Dovresti
 tacer e sperar.
 
 LEONATO
 
    Sì tarda speranza
 fa troppo penar.
 
 LAODICEA
 
805   Sì fiacca costanza
 non sa ben amar.
 
 LEONATO
 Tacerò, poiché il chiedi.
 Ma di quali speranze
 nutrir devo il rigor de’ miei silenzi?
 LAODICEA
810Che ti conturba?
 LEONATO
                                  Ah, Laodicea, ben vedo
 che ti son mal gradito e che non m’ami.
 Se ti parlo di amor, mi chiudi il labbro;
 se ti chiedo mercé, mi dai lusinghe.
 E pure al mio martiro
815saria prezzo bastante
 un sol tenero sguardo, un sol sospiro.
 LAODICEA
 Prence, da me ricevi
 ciò che dar posso. Amo ed avvampo anch’io;
 ma di tempra più forte,
820benché in petto di donna, è l’amor mio.
 Debole cor pianga e sospiri amando.
 Io nol so far. Rispingo
 e lagrime e sospiri. Amo, non peno;
 tu il mio ardor non intendi,
825perché agli occhi l’ascondo e il chiudo in seno.
 
    Voglio amar ma non penar.
 Così vo’, così l’intendo.
 
    Non è affetto, è crudeltà
 il voler che una beltà,
830per piacerti e per amarti,
 viva in pene e stia piangendo.
 
 SCENA XIV
 
 NESSO e i suddetti
 
 NESSO
 Regina.
 LAODICEA
                  E che mi arrechi?
 NESSO
                                                     A te ritorna
 Eumene prigionier.
 LAODICEA
                                       Ritorna Eumene?
 NESSO
 E corsi ad avvisarti.
 LAODICEA
835Fa’ che a me venga.
 NESSO
                                       Io volo.
 LAODICEA
 (Ecco il tempo, o cor mio, di palesarti).
 LEONATO
 (Parla fra sé).
 LAODICEA
                            Leonato...
 LEONATO
 T’intendo. Sola in libertà ti lascio
 di favellar col prigionier.
 LAODICEA
                                                Tu ancora
840puoi...
 LEONATO
               No, regina. Addio.
 (Ma per pace dell’alma,
 qui ti udirò non osservato anch’io).
 
    Pupille serene,
 mirando le mie pene,
845lasciatemi sperar
 ma senza inganno.
 
    Di un rigor, che non sa amar,
 un diletto ingannator
 è più tiranno.
 
 SCENA XV
 
 LAODICEA, EUMENE e NESSO
 
 EUMENE
850Eccomi, Laodicea. Serbo la fede
 che ti giurai. Tuo prigionier ritorno.
 Io ti rendo il mio ferro;
 tu mi rendi i miei ceppi e schiuder fammi
 la più cieca prigion. Del mio destino
855più doler non mi udrai.
 Tutto attendo.
 LAODICEA
                             (Bel labbro,
 tu richiedi catene e tu le dai).
 Eumene, ha il tuo ritorno
 di che stordir. Poc’anzi
860non l’attendea, mi è forza il dirlo, io stessa,
 non perché la tua fede o il tuo coraggio
 mi facesse temer. Credea che a core
 fosse più la tua vita
 a chi ti giura, a chi ti deve amore.
 EUMENE
865Prigionier non mi avresti,
 se ad un tenero amor...
 LAODICEA
                                             Sediamo, o duce.
 Tu, Nesso, ti allontana; e fa’ che alcuno
 non ci sorprenda.
 NESSO
                                   Ubbidirò. Regina,
 tempo è svelar ciò che racchiudi in seno.
 LAODICEA
870Parti.
 NESSO
              (Costei, già il vedo,
 ha gettate le briglie e rotto il freno).
 
 SCENA XVI
 
 LAODICEA ed EUMENE assisi
 
 LAODICEA
 Eumene, entro a’ miei lumi invan tu cerchi
 i vestigi dell’odio
 o il fier desio della vendetta; e pure
875che non tentasti a’ danni miei? Non giova
 qui ripeterlo a te. Dicanlo i fiumi
 gonfi di sangue e l’arse terre e tutti
 i regni miei della tua man distrutti.
 EUMENE
 Artemisia...
 LAODICEA
                         Lo so. Dimmi, qual mai
880ragion le può restar sul patrio regno
 ch’io dal grande Alessandro ottenni in dono?
 Se un vincitor sì augusto
 dispose a mio favor, come può mai
 un dono di Alessandro esser ingiusto?
 EUMENE
885Fiacche ragioni...
 LAODICEA
                                  Eh, duce,
 come il regno è in contesa,
 così fosse il tuo cor.
 EUMENE
                                      Che dir vorresti?
 LAODICEA
 Che vorrei dirti? Anch’io potrei... (Che parlo?)
 EUMENE
 Segui.
 LAODICEA
               (Dove trascorri,
890lingua incauta? Sì audace
 a palesar tu vai gli occulti incendi?)
 EUMENE
 Di che arrossisci?
 LAODICEA
                                   Ah, duce,
 tutto han detto i miei lumi e tu gl’intendi.
 EUMENE
 Che? Per me...
 LAODICEA
                              Sì, quest’alma
895per te avvampa, per te. S’oggi il conosci,
 non è ch’oggi sol ti ami. Allor ti amai
 che al fianco di Alessandro io ti mirai.
 Troppo forse diss’io; ma non importa.
 Innanzi a que’ begli occhi, onde nell’alma
900foco e gel mi s’infonde,
 non son più di me stessa,
 la mia ragion si perde e si confonde.
 EUMENE
 Laodicea, dal tuo amor gloria ricevo;
 e più di ogni catena,
905l’aggravio sentirò di un sì gran dono;
 ma quel cor, che mi chiedi,
 non è più nel mio sen. Sai chi ’l possiede.
 E ben sai se pospongo
 e lusinghe e perigli alla mia fede.
 LAODICEA
910Qual fede? Il volgo amante
 serbi quest’uso. Alma real non serva
 a una legge commune.
 Ami, se amar le giova;
 disami, se le nuoce. Al suo vantaggio
915accommodi gli affetti, ond’essi a lei
 portino dignitade e non servaggio.
 EUMENE
 Troppo ti lasci in preda
 a una falsa ragion. Correggi...
 LAODICEA
                                                        Eumene,
 cerco rimedi e non consigli. Approvi
920le mie fiamme? O le sprezzi?
 EUMENE
 Io ne ho quella pietà che dar ti posso.
 LAODICEA
 Un’inutil pietà quasi è crudele.
 Dammi quella ch’io cerco.
 EUMENE
 Quella non lice.
 LAODICEA
                               Ingrato, (Si leva)
925quando sei ne’ miei ceppi e quando posso...
 Ma vedi. Il tuo destino
 pende in bilancia egual.
 EUMENE
                                              Dunque i tuoi torti
 vendica col mio sangue.
 LAODICEA
 Ah crudel! Che mi chiedi?
930Non ti amerei, se ti volessi esangue.
 
 SCENA XVII
 
 NESSO e i suddetti
 
 NESSO
 Mi condona.
 LAODICEA
                          Che rechi?
 NESSO
 Antigene qui tosto
 favellarti desia.
 LAODICEA
                               Venga. In disparte
 tu ritirati, Eumene. (Si parte Nesso)
 EUMENE
935(Che sarà? Crude stelle,
 sazie non siete ancor delle mie pene).
 
 SCENA XVIII
 
 ANTIGENE e i suddetti
 
 ANTIGENE
 Rimanga Eumene. Un prigionier non temo.
 Oda pur ciò che tento,
 regina, a tuo favor. Dinanzi a lui
940non ascondo l’inganno e non mi pento.
 LAODICEA
 A te, cui tanto devo,
 mi è gloria compiacer. Duce, ti arresta.
 EUMENE
 (Agitato pensier, che ti molesta?)
 ANTIGENE
 Regina, in tuo poter tu vedi Eumene
945e l’autore io ne fui. Lo sappia anch’egli.
 Ma poiché ciò non basta
 tanta guerra a compir, vengo ad offrirti
 Artemisia cattiva. A me da’ il core
 di trarla ne’ tuoi ceppi.
 EUMENE
                                             Ah traditore.
 LAODICEA
950Antigene, il mio regno
 sarà scarsa mercede a sì grand’opra.
 ANTIGENE
 Premio è l’opra a sé stessa. In eseguirla
 seguo il miglior partito;
 e soddisfo a’ miei voti e il giusto adempio.
 EUMENE
955Volgiti a me, core infedele ed empio.
 È possibile mai che il mio perdono
 ti abbia reso peggior? Puoi rimirarmi
 senza orror, senza pena?
 E puoi tradirmi ancora
960nella parte più cara, in cui più vivo?
 ANTIGENE
 Eumene, invan mi sgridi.
 Così mi è gloria oprar.
 EUMENE
                                            Va’ pure, ingrato;
 cerca la gloria mia da’ tuoi delitti.
 I miei mali, o crudel, ti perdonai;
965ma quelli di Artemisia
 non aspettar ch’io ti perdoni mai.
 ANTIGENE
 Il tuo inutil furor cessar dall’opra
 non mi farà. Vado a compirla. Addio.
 LAODICEA
 Amico, il ciel ti arrida.
 EUMENE
970Perfido...
 ANTIGENE
                    Vedrai tosto
 Artemisia in Sebastia. In me confida.
 
    Lieta pace a questo regno
 un inganno apporterà.
 
    E per me di tanto sdegno
975avrà fin la crudeltà.
 
 SCENA XIX
 
 EUMENE e LAODICEA
 
 EUMENE
 Giusti numi, e il soffrite?
 LAODICEA
                                                 Or vedi, Eumene,
 se il ciel m’invia con che atterrirti.
 EUMENE
                                                                 Ancora
 non è...
 LAODICEA
                 Pensa, crudel, che qui poc’anzi
 mi son teco abbassata,
980vincitrice e regina,
 che Artemisia rivale
 mi è di affetto e di regno e che profitto
 vorrò trar da un amore
 che d’allor che parlò si fe’ delitto.
 
985   Begli occhi,
 poiché vi deggio amar,
 non vo’ penar così.
 
    Ingrati,
 v’imiterò spietati
990o mi amerete un dì.
 
 SCENA XX
 
 EUMENE con guardie
 
 EUMENE
 Va’. Tu trovasti alfine
 l’arte di spaventarmi. A questo colpo
 freme la mia costanza e mi abbandona.
 Ma che paventi, Eumene? Il mal che temi
995certo non è. La tua regina ancora
 è in libertà. Fa’ core.
 Te assisteranno i numi
 e affretteran la pena a un traditore.
 
    Per più resistere a un gran dolor,
1000al core oppresso
 giova adularsi con la speranza.
 
    Ma poi se il male succede al cor,
 l’inganno stesso
 si fa tormento della costanza.
 
 SCENA XXI
 
 LEONATO
 
 LEONATO
1005Che udii! Che vidi! Io pur son solo e posso
 sfogare il cor con libertà di sdegno.
 Ah Laodicea! Così m’inganni? E dai
 quegli affeti a un nimico
 che devi alla mia fé? Ch’io meritai?
1010Ma se soffro l’inganno,
 non son amante e non Leonato. Eumene
 non mi è rival, non mi è nimico. In lui
 cada la mia vendetta, in lui si tenti.
 Troverò nel suo sangue
1015e nel pianto dell’empia i miei contenti.
 
    Schernito, tradito,
 mi accingo all’armi.
 Lascio di amar.
 
    Se a vendicarmi
1020non hai coraggio,
 cor mio, sei degno
 di quell’oltraggio
 che nel tuo sdegno
 ti fa penar.
 
 Il fine dell’atto secondo